regno delle due sicilie - Gustavo Rinaldi

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regno delle due sicilie


Premio Giornalistico Internazionale "Inarsciociaria" (Frosinone, 2002);
Primo Premio per la saggistica edita al Premio Letterario "Giuseppe Federici" (Rimini, 2002);
Premio speciale al Premio Internazionale di Poesia e Letteratura "Nuove Lettere" (Napoli, 2003);
Primo Premio per la saggistica edita al Premio Letterario Internazionale "Emily Dickinson" (Napoli, 2005).


Gustavo Rinaldi, Il Regno delle Due Sicilie.
Tutta la verità, Ed. Controcorrente, Napoli 2001, 2ª ed. 2009.
 
R   E   C   E   N   S   I   O   N   E

L’opera, di pagine 412, lire 40.000, edito da Controcorrente, con un approfondito studio storico di tutto rispetto, oltre a svelare l’assurdità di tutti i luoghi comuni sui Borbone, diffusi di proposito dalla propaganda piemontese, mette in luce con dati inoppugnabili (le fonti citate sono di alto livello) che la tanto vituperata dinastia meridionale amministrava in maniera egregia le regioni a lei sottoposte, che l’industria e il commercio fiorivano e che, se non fossero stati stroncati dalla politica piemontese, avrebbero reso il Regno delle Due Sicilie non il più florido Stato italiano - perché nel 1860 lo era già – ma uno dei primi Stati d’Europa.
I dati raccolti dall’Autore sulla situazione economica del Regno delle Due Sicilie dimostrano, infatti, che era lo Stato più florido della penisola italiana, con una circolazione di monete doppia di quella di tutti gli altri Stati messi insieme, un debito pubblico inferiore a quello di Sardegna, un numero di impiegati pubblici che era la metà di quelli dell’amministrazione piemontese, che invece, al confronto, si rivela così tanto farraginosa e ipertrofica da dare origine a tutti gli attuali mali italiani.
Un libro-verità, dunque, che dimostra in che modo è stata coperta la barbarie piemontese: calunniare per giustificare un attacco, calunniare per consolidare la propria vittoria. A furia di sentirsi ripetere, generazione dopo generazione, che Garibaldi, Cavour, Mazzini e Vittorio Emanuele avevano “liberato” il Sud, i meridionali hanno finito per credere anche loro nella bella favola dei “liberatori” (una debolezza congenita: lo hanno fatto anche un secolo dopo) ed accettare, tra la varie razzie, anche quella costituita dal “furto della memoria”, come lo ha definito lo studioso del Risorgimento Pucci Cipriani. Un libro, in definitiva, molto interessante che certamente meriterebbe di essere introdotto nelle scuole, soprattutto al Sud.
( Due Sicilie – numero 6 – novembre-dicembre 2001)


Il libro racconta la storia del Regno delle Due Sicilie stroncando tutti i luoghi comuni e le menzogne che si ripetono da duecento anni. E’ un viaggio della memoria con testimonianze al di sopra delle parti per le nuove generazioni di meridionali alla conquista del presente: il futuro del Sud ha un cuore antico.
(Il Denaro – n.75 – 27 novembre 2001)


La fine del Regno delle Due Sicilie avvenne in seguito ad un’aggressione garibaldina abilmente predisposta e supportata dall’infame azione politica di Cavour e di Vittorio Emanuele. I piemontesi, vittoriosi sul campo di battaglia, non lo furono su quello dell’onore…
(La Tradizione Cattolica – n.1(49) – 2002)


Un nuovo libro per fare ancora più luce sulla conquista del Sud.
(La Nuova Fenice – genn-febbr.2002)


Come è stata fatta l’unità d’Italia. Il libro cerca di fare chiarezze sui fatti storici che hanno generato la famosa questione meridionale.
Gustavo Rinaldi, colonnello del’esercito e studioso di storia napoletana, ponendosi la domanda: “Come è stata fatta l’Unità d’Italia?”, ha voluto rispondere al complesso quesito con il libro Il Regno delle Due Sicilie. Tutta la verità, avvertendo fin dalla Prefazione:”Qui si tenterà di fare chiarezza, di dare un quadro d’insieme riferendosi a precisi fatti storici che hanno generato la famosa questione meridionale ancora oggi, purtroppo, attualissima” (p.33).
Dopo il saggio introduttivo dello studioso Gianandrea de Antonellis, Il nuovo revisionismo storico (pp.7-29), l’autore illustra nel Capitolo I la situazione economica e finanziaria del regno prima dell’annessione, ipotizzando anche lo sviluppo che il Mezzogiorno avrebbe avuto se avesse conservato l’indipendenza o se fosse entrato a pieno titolo in una federazione di Stati italiani.
Nel capitolo II vengono ricordati i principali episodi militari che hanno visto coinvolti l’esercito o la popolazione del regno fra il 1799, l’anno della rivoluzione giacobina napoletana, e il 1860: dalla resistenza popolare all’invasione francese, appunto nel 1799, all’epopea della Santa Fede, animata nello stesso anno dal cardinale Fabrizio Ruffo; dall’insorgenza del 1806 contro giacobini locali e rivoluzionari francesi alla repressione della rivoluzione del 1848, fino alla spedizione di Carlo Pisacane, fallita nel 1857 grazie alla reazione popolare.
Il Capitolo III è dedicato all’aggressione del 1860, prima garibaldina poi sabauda, con particolare attenzione allla spregiudicata e “infame” (p.123) politica del conte di Cavour nei confronti del Regno delle Due Sicilie, alla gloriosa resistenza dell’esercito napoletano negli ultimi mesi di guerra e all’attività diplomatica del re Francesco II e del governo borbonico, di cui sono pubblicati proclami reali, ordini del giorno, note e corrispondenza di guerra, che “dimostrano che quello Stato, quel governo si battè fino all’ultimo per far valere i propri diritti e che solo la sopraffazione militare e l’indifferenza o la complicità di altri Stati decretarono la fine di quel Regno indipendente” (p.211).
Nel IV e ultimo Capitolo è descritta la politica sabauda dopo l’Unità, caratterizzata dalla spoliazione economica del Paese, da una vera persecuzione fiscale e dalla repressione militare di ogni forma di resistenza, che spinsero una parte della popolazione ad abbandonare per sempre il territorio dell’ex regno: “Fu l’inizio della disgregazione meridionale” (p.386), aggravata da “un’operazione culturale, a dir poco mostruosa, che portò, in pochi decenni, alla cancellazione della memoria delle popolazioni meridionali, facendole vergognare letteralmente, perfino di esprimersi nella propria lingua” (ibidem).
Infine, un’appendice documentaria e le Conclusioni, nelle quali l’autore insiste sulla necessità per il Mezzogiorno di recuperare le proprie radici storiche e culturali: “Solo riappropiandosi della propria storia, specie quella appena antecedente e conseguente l’unità d’Italia, il Sud riacquisterà quella dignità che gli è stata tolta nel 1861, prenderà, così, coscienza delle sue capacità, delle sue potenzialità per affrontare il futuro” (p.388).
(Francesco Pappalardo - Il Corriere del Sud – n.12/2002)



Gustavo Rinaldi, storico di grande valore, ha pubblicato un lavoro di grande utilità per chiunque voglia documentarsi sulle trame internazionali, gli imbrogli e le turpitudini, che caratterizzarono la conquista del Regno delle Due Sicilie ed, in conseguemnza, il suo crollo politico economico culturale e morale. Interessantissime le scelte dei documenti e delle citazioni. Descrive con grande competenza anche i “fatti” militari.
(Giuseppe Scianò – Nazione Siciliana – luglio 2002)



In questo volume, l’autore descrive le vicende storiche del Regno delle Due Sicilie, fino alla sua dissoluzione nel corso delle guerre per l’indipendenza e l’unità d’Italia. Con il supporto di numerosa documentazione, vengono forniti in dettaglio gli aspetti sociali, economici, politici e militari di questo Regno, tramite una narrazione condotta al di fuori delle versioni della storiografia ufficiale.
(U.N.U.C.I. – luglio-agosto 2002)



Una nuova opera fa luce sul massacro del Sud: come i Savoia annientarono migliaia di meridionali. Fine della Nazione Napoletana. La denuncia delle falsità. Un viaggio straordinario nel passato: stragi, calunnie saccheggi e tradimenti. Sugli spalti di Gaeta l’eroismo di un personaggio leggendario: Maria Sofia, l’ultima Regina.
A tutti gli uomini e le donne del Regno delle Due Sicilie che sacrificarono la propria vita per un ideale di fedeltà al proprio Re, al proprio Pasese, alla propria bandiera. Con una bellissima e più che significativa dedica, si aprono le pagine di una nuova opera sul nostro Sud, la Patria dei nostri avi: in realtà continua lo sforzo di alcune case editrici meridionali che contro tutto e contro tutti – attraverso i loro autori – e senza alcun contributo delle Istituzioni, portano alla luce la memoria storica e le radici del nostro Paese che in nome di principi sbagliati e sballati, fu straordinariamente martoriato attraverso quella falsa copertura morale che fu ed è ancora il Risorgimento.
Stavolta è sceso in campo Gustavo Rinaldi con un lavoro “totale”, pubblicato da Controcorrente: ”Il Regno delle Due Sicilie. Tutta la verità”, un volume di ben 443 pagine, scorrevole, da leggere con attenzione nella rivisitazione storica che l’autore effettua attraverso la presentazione degli avvenimenti di Gianandrea de Antonellis, la premessa di Carlo Alianello, la consueta prefazione dell’autore, i quattro Capitoli divisi in quarantacinque argomenti, le conclusioni e infine un’appendice con le considerazioni di storici e ricercatori. In chiusura del lavoro, il primo servizio giornalistico in ordine di data, è quello di Pietrangelo Buttafuoco su “Il Risorgimento: fu vera gloria?” (Il Giornale, 17 maggio 1999), segue Paolo Mieli, anche lui controcorrente con una ricerca sugli sconosciutissimi “I Mille di Franceschiello” (La Stampa, 9 luglio 2000), e ancora Giuseppe Incarnato con uno scritto esplicativo “Dalla parte dei Borbone” (Studi Cattolici, n.485/86, luglio-agosto 2001). Infine l’intervento di Maurizio Blondet con un pezzo “A colpi di repressione, la Sicilia divenne italiana” (Avvenire, 19 agosto 2001). Il tutto a dimostrazione di quanto  e come siano sempre attuali gli argomenti storici dibattuti e portati avanti per fare luce completa su avvenimenti coperti dalla retorica e falsati nella loro relatà.
Gustavo Rinaldi tira fuori anche numeri e dati, offrendo un panorama totale. In sintesi lascia capire in maniera molto esplicita “Come eravamo”, cioè da dove siamo partiti e come siamo arrivati ad oggi. Un viaggio nel tempo senza precedenti. Un viaggio nel corso del quale vengono illustrate tutte le tappe, con gli arricchimenti di note e documentazioni dell’epoca. Nella seconda di copertina in poche righe il contenuto dell’intera opera: “La fine del Regno delle Due Sicilie avvenne in seguito ad un’aggressione garibaldina abilmente predisposta e supportata dall’infame azione politica intrecciata da Cavour e Vittorio Emanuele con la complicità determinante di due grandi potenze quali la Francia e l’Inghilterra. I Piemontesi, vittoriosi sul campo di battaglia, non lo furono su quello dell’onore. Misero in atto una campagna denigratoria. Si arrivò in pochi decenni alla cancellazione della memoria. Perché era ed è proprio nella memoria il senso dell’esistenza stessa e della storia di un popolo”.
L’illustrazione dei fatti continua così, con osservazioni che sottolineano esplicitamente la gravità degli interventi operati a danno del Sud e che nel lavoro di Rinaldi vengono poi descritti minuziosamente: “La conquista del Regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia si completò, poi, con l’annientamento fisico di migliaia e migliaia di meridionali che insorsero contro il nuovo Stato. Una vera e propria guerra civile. I ribelli vennero chiamati briganti. Furono compiuti crimini orrendi. La prima pulizia etnica fu piemontese e liberale”.
Prima di approfondire i temi nei particolari, ecco la spiegazione dell’atto finale: “L’occupazione sabauda, di puro stampo colonialistico, portò in breve tempo al tracollo dell’economia, pur florida e in grande sviluppo del Regno borbonico, costringendo milioni di meridionali a conoscere la penosa via dell’emigrazione. Si ebbe la disintegrazione del Mezzogiorno-Nazione. E fu così che la mitologia unitarista volse le spalle, in pieno Ottocento, alla realtà policentrica della storia italiana”.
Tra l’altro va detto che Gustavo Rinaldi non esita affatto nel raccontare minuziosamente e con una rigorosa aderenza alla realtà, quei fatti che altri autori spacciano per un periodo straordinario nella storia di Napoli: la prima occupazione francese, quella durante la repubblica partenopea e la seconda invasione dei soldati di Napoleone che a Napoli inviò prima suo fratello Giuseppe e poi Gioacchino Murat, un altro venerato eroe che l’autore presenta in un’altra veste, cioè senza quella glorificazione che sinceramente dopo aver letto le pagine di Rinaldi, appare a dir poco immeritata. Ricostruendo i personaggi, ecco che cosa viene fuori di Gioacchino Murat: “Un vile assassino elevato al rango di re dalla follia di Napoleone Bonaparte. Per combattere la persistente ribellione armata, particolarmente agguerrita nelle Calabrie, Gioacchino incaricò il generale Manhès, francese, più spietato di lui. Furono scritte pagine raccapriccianti per la storia dell’Europa civilizzata ddel’800”. Qualche episodio per rendere l’idea. Rinaldi riporta di seguito il racconto di Giuseppe Buttà nella sua opera I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli: “una povera donna di Nicastro, perché raccolse un bambino figlio di genitori fuggitivi, fu fatta seviziare e poi uccidere da Manhès. Costui faceva orribilmente mutilare i così detti briganti o aderenti, e poi li faceva uccidere con modi i più spietati. Cinque individui furono uccisi per ordine di quel generale, sol perché erano parenti di un brigante; due erano donne, la moglie e la madre del suddetto brigante, gli altri i fratelli e il vecchio padre. Un certo Giambacorta da Cosenza, tenente di gendarmeria, braccio destro di Manhès, incontrò undici individui tra donne e fanciulli che si recavono in una masseria per faticare, e perché portavano un poco di pane per isfamarsi, supponendo il Giambacorta che lo portassero a’briganti, li fè tutti assassinare. Una giovane madre tra quelli undici uccisi, si era offerta ad essere martirizzata oer salvare la vita ad un suo figlioletto; Giambacorta in risposta squarta con le sue mani il fanciullo alla presenza della madre supplichevole, e poi uccide costei”.
Si parlava di Napoleone Bonaparte, un personaggio osannato e venerato e che in Italia viene considerato finanche….uno di noi. Rinaldi riporta una lettera inviata dall’imperatore dei francesi al fratello Giuseppe, re di Napoli, una lettera che può dare un’idea precisa su Napoleone: “Non sento abbiate fatto saltar le cervella ad un solo lazzarone, eppure essi adoperano lo stilo. Ho udito con piacere la fucilazione del marchese di Rodio. Mi fa giusto il sapere che fu incendiato un villaggio insorto: m’immagino l’avrete lasciato saccheggiare dai soldati. Gl’Italiani – ecco che cosa pensava di noi il grande corso – e in generale i popoli, se non s’accorgono del padrone, propendono alla rivolta. Aspetto d’udire quanti beni avete confiscato in Calabria, quanti insorgenti giustiziato. Niente perdono: fate passar per le armi almeno seicento rivoltosi, bruciar le case dei trenta principali d’ogni villaggio, e distribuite i loro averi all’esercito. Mettete a sacco due o tre delle borgate che si condussero peggio: servirà d’esempio e restituirà ai soldati l’allegria e la voglia d’operare”, così Napoleone amava gli italiani e così commenta Gustavo Rinaldi: “Queste erano le direttive del grande corso; forse sarebbe meglio definirlo un sincero criminale democratico. Furono regolarmente messe in atto dai sovrani suoi vassalli come appunto furono prima Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat”. Per quanto riguarda lo stesso perido storico, vanno lette con attenzione nell’opera di Rinaldi le pagine che riguardano la partecipazione dei soldati napoletani alle guerre napoleoniche: “Seppero combattere con onore”, viene sottolineato riportando tra l’altro episodi di grande valore militare e che in maniera generalizzata sui libri di storia vengono invece attribuiti all’esercito francese.
Un passo avanti nei vari capitoli del libro consente di chiarire il ruolo sostenuto dai traditori del Sud, siamo nel 1860: Uno degli episodi più infamanti è senz’altro quello che vide i piemontesi allearsi con i camorristi. La camorra era stata sempre combattuta dai Borbone; i piemontesi perciò se ne servirono. Qualsiasi azione, anche la più abominevole, andava bene per sconfiggere il nemico. Liborio Romano, ultimo ministro dell’interno e di polizia di Francesco II, in combutta con Cavour, preparò così il terreno favorevole per la fine del regno delle Due Sicilie e accolse Garibaldi al suo ingresso in Napoli, dopo avergli preparato la strada. Tutto il suo operato è stato infamante e, oggi, ironia della sorte, al suo nome è intestata qualche via di qualche paese del Sud”.
Le calunnie, un altro capitolo. Nel libro di Rinaldi  c’è di tutto. Su Ferdinando II furono scritte infamie inaudite. Venne riportata a tinte fosche la situazione delle carceri borboniche, ma per fortuna qualcuno ha ricordato quello che succedeva nelle carceri piemontesi e l’autore, a tale proposito, “apre” una lettera che lord Vemon, testimone oculare, indirizzò a Cavour, il 31 marzo del 1851. Econe alcuni tratti: “Quasi tutte le carceri di Sardegna da me vedute sono luride, sudicie, oscure e puzzolenti. In una sola carcere, e spesso non spaziosa, trovavasi talora ristretti dai 10 fino ai 50 e più detenuti. In Cagliari, dove il solo cortile che vi sia è ottuso, sudicio, umido e poco accessibile alla circolazione dell’aria e dove è concesso l’andare a pochissimi carcerati….Notai in queste carceri che una donna, condannata a due anni di prigione per illecito connubio, trovavasi in compagnia di altre, omicide del marito, della madre, del proprio figliolo. Confusione veramente barbara e strana. Le carceri di Oristano mi parvero anco peggiori. A queste carceri non è addetto né ospedale, né chirurgo. Io vidi con orrore un carcerato che, essendo ferito nel petto, giacevasi sul nudo suolo senza soccorso alcuno. In verità io non vorrei dire che il mio cane fosse sottoposto a simile pena”:
L’autore de “Il Regno delle Due Sicilie. Tutta la verità”, effettua un altro passaggio sempre sulle bugie che ci sono state propinate: “Una delle tante calunnie intese a ridicolizzare, anche dopo la conquista piemontese, quello che era stato l’esercito di un regno indipendente, sia pure con le sue luci e le sue ombre, è la diffusione di un fantasmagorico regolamento della marina napoletana definito Facite ammuina. Si sosteneva cioè – e c’è ancora oggi chi mostruosamente continua a sostenerlo – che nel regolamento della Marina militare del Regno delle Due Sicilie, ci fosse una manovra definita appunto Facite ammuina. Questa manovra avrebbe previsto che, all’ordine Facite ammuina, tutti i presenti sull’imbarcazione si sarebbero spostati da una parte all’altra, da sopra a sotto e viceversa, solo appunto per fare ammuina, cioè creare confusione, per dare modo a chi osservasse che ci fosse un grosso impegno lavorativo. Il tutto sarebbe stato scritto, addirittura, in dialetto napoletano. Poco importa il fatto, oggettivo, che non esiste nei regolamenti a stampa della Real Marina Napoletana, pubblicati uno nel 1818 ed uno nel 1823, una simile mostruosità, o il fatto già ricordato che Cavour, in quanto ministro della Marina sarda, adottò ordinanze, manovre, segnali di bandiera e perfino le uniformi della marina napoletana”.
Alcune pagine dell’opera di Rinaldi sono dedicate ad un personaggio leggendario, la mitica ultima Regina di Napoli. Siamo adesso sugli spalti di Gaeta assediata dalle truppe piemontesi: all’interno della città Fedelissima ci sono i soldati napoletani, gli allievi della Nunziatella che hanno raggiunto il loro re Francesco II, i cannonieri e i marinai dell’Armata di mare: “Sin dai primi scontri il re aveva voluto essere presente in mezzo ai soldati, ispezionando le batterie più impegnate nella battaglia, dove talvota dirigeva personalmente il tiro. Al suo fianco c’era quasi sempre Maria Sofia che il trambusto della battaglia sembrava accendere di entusiamo. Sempre serena e coraggiosa, la Regina si aggirava tra bastioni e batterie, sfidando quasi il fuoco nemico senza dar segno di turbamento e spronando con la sua presenza i soldati. Anche le più inesperte reclute, sotto lo sguardo incitante e affettuoso di quella regina così giovane che sembrava dar corpo e realtà tangibile ai loro confusi ideali, esibivano tutto il loro entusiasmo cercando di far sfoggio di coraggio”.
Maria Sofia rimase sugli spalti di Gaeta, sino alla fine: “Erano state esercitate affettuose pressioni perché anch’ella si recasse a Roma con la suocera e a Monaco dai suoi parenti, per aspettarvi, al sicuro, che la situazione si risolvesse in qualche maniera. Non fu possibile convincerla ad abbandonare il marito e lasciare la fortezza assediata: Maria Sofia era fermamente decisa a condividere i rischi del marito e dei difensori della città. La  vera eroina del dramma era lei, Maria Sofia di Wittelsbach, impavida sotto le cannonate dei piemontesi, insieme con i soldati napoletani che difendevano l’ultimo lembo della loro Patria. Un testimone dell’assedio annotò: la regina passeggia oggi sulle batterie. Le cannonate arrivano di tempo in tempo vicino a lei; il loro fischio la fa sorridere”. L’ultima regina di Napoli, Maria Sofia di Wittelsbach, fu tra coloro che non si arresero mai.
(Gianfranco Lucariello – Cronache di Napoli – 4 febbraio 2002)

La storiografia è di per sé una scienza “revisionista”: tende cioè ad analizzare le documentazioni e le vicende storiche senza lasciarsi indurre in interpretazioni dettate da precedenti studi. Abbiamo scritto “è”, ma avremmo dovuto scrivere “dovrebbe essere”, perché in realtà è difficile per chiunque qvvicinarsi ad un determinato avvenimento senza essere influenzato dal giudizio che su esso già grava”. Con queste parole incomincia il saggio introduttivo di Gianadrea de Antonellis che ripercorre sinteticamente le vicende della pubblicistica risorgimentale, opportunamente manipolata fin dai primi decenni dell’800 per preparare l’opinione pubblica e giustificare di fromte alle Nazioni europee l’invasione del 1861. Volendole sintetizzare in una sola frase, si può scegliere quella, fin troppo abusata, ma perfettamente rispondente i fini preposti, di lord Gladstone: “il Regno delle Due Sicilie è la negazione di Dio in terra”.
Il volume di Rinaldi, molto approfondito e pieno di richiami bibliografici, serve come base per rileggere la storia del regno napoletano scotendoci di dosso i pregiudizi sedimentati nel corso di due secoli: si scoprirà quindi come il reame borbonico – pur con i suoi difetti – fosse all’avanguardia (in Italia) da un punto di vista commerciale, industriale, di infrastrutture (Re Ferdinando, che aveva ben badato a risparmiare, a differenza dei politici piemontesi, aveva approntato un piano di collegamento ferroviario tra Napoli e Bari che sarebbe dovuto essere realizzato a partire dal 1860, se non ci fosse stata l’invasione garibaldina e sabauda).
I dati sono tutti riportati nel libro di Rinaldi, che affronta tutti gli aspetti della società del tempo, dimostrando ampiamente la calunniosità delle affermazioni di Gladstone e dimostrando irrefutabilmente la doppiezza del vero artefice dell’Unità d’Italia, Cavour.
Basterebbero i semplici dati a dimostrare la tesi “revisionista” dell’autore, ma egli vi aggiunge frequenti invettive antipiemontesi, realizzando un ottimo testo di militanza, adatto a risvegliare la coscienza dei lettori più pigri ( e non a caso il titolo originario doveva essere Protesta dei Popoli dell’ex Regno delle Due Sicilie, riprendendo il titolo del sanguigno pamphlet di Settembrini). Meno adatto, però, a convincere il lettore da convincere o che risiede, per dirla con Bartoletti, “sull’altra sponda”, in questo caso quella piemontese.
(Ezio Conte - Controrivoluzione – gennaio 2002)      

Centinaia di documenti consultati, studiati con lo zelo e  rigore storico, nei vari archivi dello Stato e nelle librerie antiquarie; un’analisi accurata della situazione economica, militare e morale del Regno delle due Sicilie pre e post unificazione al Regno d’Italia; la scoperta di una vera e propria campagna denigratoria ordita per la cancellazione della memoria di tutto quanto era meridionale dai piemontesi, vincitori sui campi di battaglia ma non su quelli dell’onore.
E’ questo il tema dell’autore, il colonnello Gustavo Rinaldi, ne “IL REGNO DELLE DUE SICILIE-TUTTA LA VERITA’ edito da Controcorrente, via Carlo de Cesare 11, 80132 Napoli.
Il Col. Gustavo Rinaldi, già autore di “1799 LA REPUBBLICA DEI TRADITORI” edito da Grimaldi (Napoli 1999), ha ricevuto il premio speciale della giuria alla seconda edizione del premio letterario nazionale “Giuseppe Federici” (Rimini, Giugno 2000) e il secondo premio alla quinta edizione del premio internazionale letterario “Tito Casini” (Borgo San Lorenzo-Firenzer, novembre 2001).
(Notiziario dell’Associazione Nazionale Amministrazione Militare – ANNO XI-N.52/53)


Finalmente un’opera coraggiosa che fa a pezzi oltre un secolo e mezzo di menzogne.
Finalmente, dagli archivi emerge la verità: la fine del Regno delle Due Sicilie avvenne in seguito ad un’aggressione garibaldina abilmente predisposta e supportata dall’infame azone politica intrecciata da Cavour e Vittorio Emanuele, con la complicità determinante di due grandi potenze quali la Francia e l’Inghilterra. I piemontesi, vittoriosi sul campo di battaglia, non lo furono su quello dell’onore. Misero in atto una campagna denigratoria. Si arrivò in pochi decenni alla cancellazione della memoria. Perché era ed è proprio nella memoria il senso dell’esistenza stessa e della storia di un popolo. La conquista del regno delle Due Sicilie da parte dei Savoia si completò, poi, con l’annientamento fisico di migliaia e migliaia di meridionali, che insorsero contro il nuovo Stato. Una vera e propria guerra civile. I ribelli vennero chiamati briganti. Furono compiuti crimini orrendi. La prima pulizia etnica fu piemontese e liberale. L’occupazione sabauda, di puro stampo colonialistico, portò in breve tempo al tracollo dell’economia, pur florida e in grande sviluppo, del Regno borbonico, costringendo milioni di meridionali a conoscere la penosa via dell’emigrazione. Si ebbe la disintegrazione del Mezzogiorno-Nazione. E fu così che la mitologia unitarista volse le spalle, in pieno Ottocento, alla realtà policentrica della storia italiana. Il centralismo trionfante partorì solo emigrazione , guerre e disastri.
(Libri Ribelli – supplemento al numero 14 di “Storia Ribelle”, Inverno 2003- Biella)

RINALDI IN CAMPO. TUTTA LA VERITA’ SUL REGNO DELLE DUE SICILIE? TUTTA NO, MA BUONA PARTE CERTAMENTE.
Un grande contributo al recupero della memoria storica dei Popoli dell’Ex Regno delle Due Sicilie è dato, senza dubbio, dal voluminoso, documentato, scorrevole e “onesto” libro di Gustavo RINALDI dal titolo “IL REGNO DELLE DUE SICILIE. TUTTA LA VERITA’ ” (Controcorrente Edizioni, Napoli, Dicembre 2001).
Dopo 141 anni di lavaggio di cervello, di falsificazioni della verità, di “DISINFORMATIA” di Stato, di indecenti contraffazioni, di sproloqui, operati (volontariamente o per necessità) dalle massime autorità della cultura ufficiale, della politica, dei partiti e delle istituzioni locali, nonché dagli intellettuali, dai docenti universitari, dai maestri d’asilo, dai mass-media e via dicendo, è impossibile, anche per un uomo di grandi capacità come Gustavo RINALDI, -già autore di un’altra impegnativa oprta storica (1799:”La Repubblica dei traditori), - parlare di tutte le “violenze” arrecate alla verità e ai Popoli.
Ed è altrettanto “impossibile” replicare a tutto e a tutti, punto su punto.
Dobbiamo dire, però, che con questo ultimo libro fa compiere un grande passo avanti alla cultura meridionalistica. E scuote anche le coscienze. Fa riflettere su un avvenire che potrebbe non arrivare mai per i Popoli del Sud senza la riconquista della consapevolezza di se stessi. Senza il recupero dei loro valori, dalle loro memoria, della loro dignità. Senza il coraggio di rivendicare il diritto ad un avvenire di progresso, di libertà, di benessere, di migliore qualità della vita nella propria terra. Senza disobbedire al dictat di emigrare o restare in una realtà geopolitica, che è mercato di consumo o, meglio, colonia di sfruttamento.
E, poi, diciamolo francamente: un passo dopo l’altro, la verità è destinata a compiere il suo percorso anche nel territorio duosiciliano continentale ed insulare.
Bene coglie il senso del libro la dotta ed appassionata prefazione di Giannandrea DE ANTONELLIS, che inserisce il lavoro del RINALDI nell’ambito di quel processo di Revisionismo della storia, quanto mai utile ed opportuno in ogni epoca ed in ogni luogo, ma oggi quanto mai necessario nel Mezzogiorno d’Italia ed in Sicilia.
Mi sia consentito di stralciare un passo, eloquente, delle conclusioni del Rinaldi. “Conclusioni”, tratte dopo un lungo excursus, documentatisimo come abbiamo detto, delle principali vicende unitarie e post-unitarie.
«Solo riappropriandosi della propria storia, specie quella appena antecedente e consegunete l’unità d’Italia, il Sud riacquisterà quella dignità che gli è stata tolta nel 1860 prenderà, così, coscienza dell sue capacità, delle sue potenzialità per affrontare il futuro in modo diverso da come sono stati affrontati questi anni di vita unitaria. Solo esprimendo una classe politica fortemente motivata di “sano meridionalismo” potrà pretendere dallo Stato unitario quello sviluppo così bruscamente interrotto al momento dell’unificazione del Paese, senza timore di mettere in discussione l’unificazione stessa.
E’ paradossale che il Nord oggi esprima la volontà addirittura di secessione e il Sud continui a sonnecchiare».
Afferma l’Autore che così continua:
«O si arriva a ridare al Sud quanto gli è stato tolto, dignità e sviluppo pimariamente, o si rimette in discussione l’unità del Paese. Che siano i meridionali ad alzare la voce, finalmente consapevoli dei propri diritti.che il Sud si organizzi per riprendersi quanto gli è stato tolto, anche a costo di rimettere in discussione l’unità della Nazione, che ormai scricchiola.
Non c’è più tempo, ormai. Dopo tanti anni, lo Stato unitario non ha più giustificazioni di sorta.
Il Sus, se si vuole che resti parte integrante di una Italia unita, ha il diritto sacrosanto di combattere il quotidiano colonialismo del potere nordista, capitalista e dell’alta finanza, e di stimolare un nuovo tipo di sviluppo in armonia con le vocazioni territoriali, storiche, culturali e colturali delle proprie genti.
I meridionali di oggi non possono continuare a pagare lo “scotto” dell’unità del Paese, gli errori di quela esigua minoranza di loro antenati che, per sposare la causa unitaria, sacrificarono tutto quanto c’era di buono (e ce n’era, e tanto) nel Regno delle Due Sicilie.
I meridionali di oggi sono chiamati ad essere consapevoli del proprio destino. Il loro compito prioritario, per loro stessi, per il loro Paese, per il futuro dei loro figli, è quello di riacquistare dignità, attraverso il riappropriarsi della propria storia e di esprimere, quindi, una sana classe politica, autentica portatrice degli interessi legittimi del Sud».
(pagg.388-389).
Suggestivo è, infine, il “pensiero” rivolto ai Giovani Meridionali:
«Che non si lascino abbagliare da vacue promesse di lavoro al Nord Italia. Che restino al Sud, a tutti i costi. Questa dovrà essere la loro sfida verso lo Stato unitario. Che continuino a pretendere, legittimamente, lavoro al Sud. Ma il Sud dovrà fare da solo, tutto, come ha sempre fatto per tatnti secoli». (pag.390).
Un pensiero, un appello, ai quali ci associamo di tutto cuore.
Per quanto riguarda la storia e le vicende della Sicilia, che sono specifiche e spesso ben distinte da quelle della parte continentale del soppresso Stato Duosiciliano, il Rinaldi ne parla con proprietà di linguaggio e con acutezza. Certamente non è la Sicilia il soggetto principale del suo lavoro, che mira a scandagliare maggiormente quanto è avvenuto nella parte continentale del Regno delle Due Sicilie.
Ciò, tuttavia, non significa che il nostro storico non tratti sufficientemente i fatti che contemporaneamente avvengono in Sicilia. Gli siamo, anzi, grati per l’attenzione che vi ha dedicato. Fra l’altro, riporta integralmente un articolo di rottura, a firma di Maurizio BLONDET, pubblicato su “L’AVVENIRE” del 19 agosto 2001, sulla Rivoluzione Siciliana del 1866 (la cosidetta rivolta del “Sette e mezzo” che terminò con il cannoneggiamento da mare e da terra della Città di Palermo).
Della rivoluzione del “Sette e mezzo”, ne abbiamo parlato a nostra volta, seppur brevemente. Ma il Rinaldi non si ferma a questo evento e cita non pochi dei fatti dolorosi che portarono alla caduta della Sicilia sotto le grinfe di Garibaldi, di Vittorio Emanuele di Savoia e dei loro seguaci.
Qui vogliamo esprimere l’augurio e la speranza che il libro di Gustavo Rinaldi abbia il successo che merita. Non solo per ciò che rappresenta da un punto di vista prettamente cilturale (che non è trascurabile). Ma anche per il grande avvenimento poltico che costituisce, in sé e/o unitamente all’opera di tanti altri nuovi Autori, che qua e là si fanno avanti nei territori dell’Ex Stato Duosiciliano, per contestare in modo documentato, pacato, corretto, la pratica del lavaggio di cervello e l’arroganza e le menzogne proprie della cultura ufficiale italiana, soggezioni culturali  politiche imposte inizialmente dalle baionette e dalle cannonate sabaude e dai mercenari ungheresi, zwawi, indiani e compagnia bella. E, via via, fatte proprie, supportando così, involontariamente, l’opera di “Autocolonialismo” portata avanti, su commissione del potere centralista, dagli àscari, dai traditori, dalla camorra, dalla’ndrangheta, dalla mafia, dai pennaioli di regime…..
A questo punto, per arrivare ad un ribaltamento effettivo della condizione coloniale, riteniamo sia necessaria una rivoluzione culturale per tutti i Popoli del Sud e per il Popolo Siciliano in particolare.
La rivoluzione culturale costituisce, infattim per ogni Popolo, la condizione essenziale per riacuisire la consapevolezza di sé, della propria identità, dei propri problemi, dei propri diritti, dei propri doveri. E per guardare all’avvvenire, memori del proprio passato.
(Giuseppe Scianò, SICILIA, SICILIA, SICILIA! – Ed. Anteprima, Palermo 2004).
 

Un gran bel libro, senza dubbio, che, sin dalle prime pagine, evidenzia il rigore ed il fervore dello storico. La scrittura, suffragata dall’obbiettività delle conoscenze possedute, è piana, scorrevole. Mira all’essenza delle cose, riportandoci così, per un momento, all’essenzialità dei pensatori rinascimentali. Le elucubrazioni mentali, dunque, sono assenti e Cavour e V. Emanuele II risultano subito come i grandi fautori di una politica propagandistica, tesa alla conquista del Regno delle Due Sicilie. Certo, specie il primo, si sa che conosceva pienamente il ruolo della propaganda politica, giacchè già Catilina, in epoca remota, Pier della Vigna, poi, e Manfredi ne erano stati travolti, perciò Camillo Benso, conte di Cavour, fu, senza ombra di dubbio, secondo Gustavo Rinaldi, un predatore che, con falsità e pervicacia, con aridità ed avidità, senza scrupolo alcuno, soppresse il Regno dei Borboni, a favore di quello dei Savoia. E qui, al Sud, il brigantaggio, il malcontento, gli stenti, cui la popolazione era sottoposta, fecero sì che tutti ricordassero le certezze borboniche ed il benessere, una volta presenti nel regno. Di certo, i meriti dei Borboni furono molti, come, ad esempio, le opere di bonifica cui diedero vita, le industrie cotoniere, di lana, di carta, ecc. evidenti nel regno, la istituzione della dote per le fanciulle povere, gli aiuti agli anziani, non autonomi economicamente e la nascita della ferrovia Napoli-Portici, la prima, in Italia, emblema di progresso scientifico e tecnologico. La città di Napoli, quindi, per la lungimiranza dei sovrani del regno delle Due Sicilie si impose come una vera capitale all’intera Europa.
Il libro va letto, non solo perché è agevole e seduttivo, nonostante il numero cospicuo di pagine, in tutto 443, ma per l’amore delle nostre tradizioni, che l’autore riesce a trasmetterci, che si traduce nell’orgoglio di essere del Sud. Difatti, dopo questa lettura ci sentiamo liberi, finalmente, perché appartenenti ad un mondo di valori culturali ed umani inesprimibili, quelli partenopei.
Napoli 17 febbraio 2005
Dott. Prof. Carmela Politi Cenere
( discorso introduttivo in occasione della concessione del 1° Premio per la saggistica edita alla VIIIª Edizione del Premio Letterario Internazionale “Emily Dickinson”, patrocinato dalla Regione Campania – Napoli 2005 )




Una rilettura attenta del periodo per riscrivere la storia “dettata” dai vincitori.
Tutta la verità sull’Unità d’Italia
Giunta alla seconda ristampa, questa voluminosa e dirompente opera di Gustavo Rinaldi, “Il Regno delle Due Sicilie. Tutta la verità”, si impone più che mai come pietra miliare nell’ambito del revisionismo storico, che numerosi studiosi hanno avviato sul processo dell’Unità d’Italia e sulle cause della “vexata quaestio” dell’Italiameridionale, abbandonata a se stessa.spoliata dei suoi capitali, affuscata nei suoi ragguardevoli primati dai vincitori, ovvero gli artefici della realizzazione delle idee politiche di Mazzini, Cavour e Garibaldi. Personaggi mitizzati dall’oleografia scolastica e dai soliti voltaggabana e profittatori di regime.
   Intendiamoci. Qualsiasi storico, pur avendo tutta l’intenzione di essere oggettivo, si lascia pur sempre, senza volerlo, condizionare dalla sua soggettività, dalla concezione di vita politica, sociale, morale che ha ispirato la sua personalità.
  Altro, però, è fare storia all’insegna della pura convenienza, imponendo ai posteri un modello culturale farcito di luoghi comuni, osanna ai vincitori, e falsando in questo la vera storia.
  Compito arduo quello di togliere stratificate incrostazioni dal mito risorgimentale che pur ci affascinò sui banchi del liceo e, prima ancora, su quelli di terza media e di quinta elementare, facendoci innamorare del mito di Garibaldi.
  Non è tutto oro ciò che luccicca: e anche nel processo del revisionismo storico bisogna stare attenti e andare con i piedi di piombo. Certe verità però bisogna pur gridarle se si vuole che vengano ascoltate.
  Questo ha fatto il colonnello Gustavo Rinaldi, storico controcorrente, affrendoci tuttà la verità riguardo al Regno delle Due Sicilie. E, per non smentirsi, ha affidato la pubblicazione all’editrice Controcorrente.
  Rinaldi ha coraggio da vendere e non si preoccupa di scontrarsi con tesi precostituite, sedimentate, nell’immaginario collettivo.
  Da vero storico, egli non ragiona per tabulas, per logaritmi, per espressioni algebriche, ma fa piazza pulita dei luoghi comuni, riportando documenti di prima mano, talvolta del tutto sconosciuti a qunati si piccano, nel mondo accademico, di essere depositari della cultura  e della verità. E parla apertamente di aggressione garibaldina e di aggressione piemontese, chiamando cioè le cose con il loro vero nome, senza melliflui eufemismi.
  «Dopo il plebiscito – scrive Rinaldi – il Regno delle Due Sicilie fu annesso al Piemonte. Vittorio Emanuele fu proclamato Re d’Italia (II anche se era il primo d’Italia, forse per testimoniare ai posteri che in realtà più che fare l’Italia era stato il Piemonte ad ingrandirs). I governi d’Austria, Spagna, Baviera, Prussia e Russia condannarono senza mezzi termini l’aggressione piemontese».
   L’autore è come il cerusico che affonda impietosamente il bisturi nella piaga dell’ipocrisia, dell’opportunismo e della faziosità degli storici di regime, facendoci aprire gli occhi sulle tante, troppe mistificazioni connesse a certi miti nazionali che il tempo ha oggi riportato, naturaliter, a una dimensione più veritiera.
  Al punto che si son levati gli scudi sull’opportunità di spendere, in piena crisi globale, un bel po’ di soldi per l’indiscriminata retorica delle programmate celebrazioni per il centocinquantesimo anniversari dell’Unità d’Italia. come sempre, il tempo è galantuomo. ( Franco Di Peso, Cilento, gennaio 2010 pag.84).  



 
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