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150 Anni dell'Unità d'Italia – “Garibaldi non è stato un eroe”:
Fanpage intervista Gustavo Rinaldi
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Il 17 marzo 2011 ricorrono i 150 anni dell’Unità d’Italia. Una celebrazione che sembra essere balzata agli onori della cronaca più per le polemiche relative alle scuole e agli uffici chiusi che per il reale significato di questa data. Il 17 marzo 1861 venne proclamato infatti il Regno d’Italia e viene ricordata come la data “ufficiale” della nascita della nostra nazione.
Ci ha pensato Roberto Benigni con la sua perfomance a Sanremo a riportare la luce dei riflettori sul valore storico dell’Unità d’Italia. L’esibizione del comico toscano al Teatro Ariston, definita da alcuni uno dei momenti più alti che la Tv italiana ricordi, ha spaziato dall’Inno di Mameli alle figure principali del Risorgimento italiano (Garibaldi su tutti).
Proprio all’Eroe dei Due Mondi è dedicato il nuovo volume di Gustavo Rinaldi. Garibaldi – L’avventuriero, il massone, l’opportunista, il titolo dell’opera. Come si può facilmente intuire Rinaldi, scrittore e storico (già autore dei volumi 1799: la Repubblica dei traditori e Il Regno delle Due Sicilie: tutta la verità), analizza in chiave critica il condottiero della spedizione dei Mille.
“Sicuramente non è stato un eroe per le popolazioni duosiciliane, prima illuse e poi ingannate”, sostiene Gustavo Rinaldi; “fu lui stesso ad ammetterlo, anni dopo, nel 1868, testualmente: Gli oltraggi subite dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili…non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate“. Inoltre, tra i temi al centro dell’intervista, le condizioni economiche del Regno delle Due Sicilie e la Questione Meridionale.

A suo giudizio è giusto celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia?
“La celebrazione dell’Unità d’Italia, a distanza di 150 anni, non può prescindere dal riconoscere, ammettere che quell’unità, per quanto riguarda il Regno delle Due Sicilie, fu ottenuta contro la stragrande maggioranza degli abitanti di quel Regno. Fu una vera e propria invasione, garibaldina prima, piemontese poi; un’aggressione militare (da parte piemontese) senza alcun casus belli, senza dichiarazione di guerra, in violazione di tutti i trattati internazionali allora in vigore, calpestando il sacrosanto diritto all’autodeterminazione dei popoli attraverso lo svolgimento di un plebiscito fasullo, una vera e propria farsa, un imbroglio sotto tutti i punti di vista”.

Come descriverebbe il Risorgimento da un punto di vista storico?
“Il Congresso di Vienna del 1815, dopo la definitiva sconfitta di Napoleone Bonaparte, sancì la restaurazione degli Stati italiani quali erano prima delle invasioni francesi, con due importanti eccezioni: la Repubblica di Genova fu annessa al regno di Sardegna e quella di Venezia all’Impero asburgico, sic et simpliciter. I genovesi si ribellarono a quella forzata annessione nel 1849: Genova fu bombardata e saccheggiata. Il Lombardo-Veneto mal tollerava, ovviamente, la sia pur illuminata amministrazione asburgica: gli austriaci erano stranieri, a tutti gli effetti. Non a caso la cosidetta prima guerra d’indipendenza vide la partecipazione di tutti gli Stati italiani contro l’Impero asburgico, compreso il Regno duosiciliano. Italiani contro Austriaci. Così iniziò il Risorgimento: la cacciata dello straniero dalla penisola ne era il collante. Dopo, invece, il Regno di Sardegna, per meri interessi personali, scatenò una guerra fra italiani, quale fu l’invasione del Regno delle Due Sicilie, e non fu più Risorgimento”.

Cosa ne pensa dell’esibizione di Roberto Benigni a Sanremo, dedicata principalmente ai 150 anni dell’Unità d’Italia?

“Benigni è un grande comico. Parlare dell’unità d’Italia è cosa seria”.

Cosa è accaduto in particolare a Pontelandolfo e Casalduni durante il Risorgimento?
“Le Marzabotto delle Due Sicilie. Truppe regolari dell’esercito piemontese, da poco italiano, commisero crimini orrendi contro l’umanità. Un esempio per tutti: le stragi di Pontelandolfo e Casalduni del 1861. Il maggior responsabile di quegli eccidi, il generale Enrico Cialdini, dovrebbe essere etichettato, riconosciuto, condannato quale criminale di guerra e, invece, il suo nome campeggia ancora sulle facciate delle caserme dell’esercito italiano come se fosse stato un eroe”.

Lei ha da poco pubblicato un volume dedicato a Giuseppe Garibaldi. Come descriverebbe in estrema sintesi la figura di colui che è passato alla storia come l’Eroe dei Due Mondi?
“Avventuriero, massone, opportunista come nel titolo del mio ultimo libro. Di eroico, poco o niente, come si dimostra, a parer mio, leggendo il testo. Sicuramente non è stato un eroe per le popolazioni duosiciliane, prima illuse e poi ingannate. Fu lui stesso ad ammetterlo, anni dopo, nel 1868, testualmente: Gli oltraggi subite dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili…non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate. In sintesi, fu un burattino nelle mani del prestigiatore Cavour”.

Quello del Regno delle Due Sicilie era “inquadrabile” come un dominio straniero del Sud Italia?
“Il Regno delle Due Sicilie era uno Stato autonomo, indipendente, retto da una monarchia diventata autoctona ben prima del 1860. Duosiciliani erano i componenti del Governo, della Magistratura, delle Forze Armate e di Polizia, della P.A., delle Università ecc. ecc. Stranieri erano i turisti e gli imprenditori stranieri che trovavano remunerativo investire in quelle province, senza alcun incentivo statale! Stranieri anche i Reggimenti svizzeri, sciolti nel 1859, che erano solo una piccola componente dell’Esercito. Truppe mercenarie, certo, come la legione ungherese nel Regno di Sardegna”.

Quali erano le condizioni economiche, culturali e sociali del Regno delle Due Sicilie e in particolare di Napoli nell’Ottocento?

“Il Regno delle Due Sicilie era, a tutti gli effetti, lo Stato più ricco fra quelli italiani. Numerosi furono i primati nel settore agricolo, industriale e, perfino, in quello della sanità. Modesto il debito pubblico, poche, semplici e moderate le imposte. I Borbone svilupparono un sistema economico basato sulla piena occupazione, incredibile a dirsi; per questo elevarono alte barriere doganali per scoraggiare l’importazione di merci e manufatti che venivano prodotti nel Regno. Non si conosceva la parola emigrazione, già molto nota, invece, nel Nord Italia. Fu un atto criminale l’abolizione, sic et simpliciter, di quelle misure, ad opera di Garibaldi prima e confermate dai piemontesi dopo”.

I libri di storia diffusi nelle scuole raccontano tutto del Risorgimento?

“Assolutamente no! Ma non solo quelli delle scuole (elementari, medie, superiori), la cosa più aberrante è che le falsità raccontate nelle scuole trovano, poi, conferma nelle Università, cancellando, così, generazione dopo generazione, la memoria storica delle popolazioni duosiciliane. Era ed è proprio nella memoria storica il senso dell’esistenza stessa e della storia di un popolo”.

La Questione Meridionale nasce con l’Unità d’Italia?
“Decisamente. Senza alcun dubbio. Già Garibaldi da dittatore e poi il neo Parlamento italiano sancirono l’immedita applicazione dello Statuto Albertino nei territori duosiciliani. Abolizione immedita di tutta la legislazione preesistente, abolizione delle dogane, introduzione della moneta piemontese, anche l’unificazione dei pesi e delle misure. Tutto con un solo tratto di penna. Poi la spietata repressione piemontese nei confronti dei ribelli, definiti dispregiativamente briganti, durata ben più di 10 anni, unitamente al saccheggio vero e proprio delle industrie, del Tesoro, delle banche e la drastica riduzione degli investimenti pubblici costrinsero milioni di duosiciliani ad emigrare pe’ terre assaje luntane. Fu una vera e propria diaspora che tuttora perdura. Prima del 1860 non emigrava nessuno!”.

Prima dell’Unità d’Italia esisteva la criminalità organizzata nel Sud Italia?
“La criminalità era ovviamente presente nel regno delle Due Sicilie, così come ovunque. Erano contrastate e non erano così bene organizzate come lo saranno dopo il 1860. Fu Garibaldi a sdoganarle, alleandosi con la mafia in Sicilia e con la camorra a Napoli. Al suo ingresso nella Capitale del Regno aveva al proprio fianco il capo della camorra alla quale elargì numerose e consistenti prebende, come ho ampiamente dimostrato nel mio testo”.

Quali sono le maggiori fonti che ha utilizzato per la sua ricerca storica?
“Tante, tutte quelle che è stato possibile reperire nelle Biblioteche di tanta parte d’Italia, favorito dagli spostamenti legati alla mia professione e attraverso il prestito interbibliotecario”.

L’Unità d’Italia sarebbe stato un processo comunque inevitabile da un punto di vista storico?
“Che gli Antichi Stati presenti nella penisola italiana dovessero, prima o poi, trovare un’intesa per addivenire ad accordi commerciali e poi anche politici era, probabilmente, inevitabile. Fu Ferdinando II, nel lontano 1833, a farsi promotore di una iniziativa politica di eccezionale importanza: la creazione di una Lega italica tra il Regno delle Due Sicilie, lo Stato Pontificio ed il regno di Sardegna al fine di contrastare qualsiasi influenza straniera, Francia ed Austria in particolare. A tale iniziativa, si sarebbero poi uniti, necessariamente, il Granducato di Toscana e i Ducati del Centro Nord costituendo, di fatto, una Federazione di Stati. Sia il Papa che il Regno di Sardegna (Carlo Alberto) fecero, come si suol dire, orecchie da mercanti.
Una Confederazione di Stati fu auspicata, poi, da don Antonio Rosmini nel 1839, dal Gioberti nel 1843, da Cesare Balbo nel 1845 e dal più famoso Cattaneo nel 1848. Era prevista anche negli accordi di Plombières del 1858 stipulati tra Napoleone III e Cavour, ma costui preferì l’uso della forza militare unitamente ad una subdola ed ignominosa azione politica e diplomatica. Così non fu per la Confederazione germanica che si costituì nel 1870/71 senza alcun spargimento di sangue.
Attuare, oggi, un federalismo solo fiscale è pura follia, oltre ad essere una beffa per gli ex duosiciliani, considerando, non solo i fatti storici che portarono alla conquista piemontese, ma stante un enorme divario economico ed infrastrutturale fra il CentroNord ed il Sud della penisola”.

Nonostante le numerose differenze tra Nord e Sud Italia, ci sono degli indiscutibili tratti in comune molto importanti (cultura, lingua, religione). Immaginerebbe un’Italia divisa da un punto di vista politico, oggi?

“Oggi che si sta costruendo un’Europa di popoli più che di Stati, tutto può essere possibile. La Storia insegna: Stati costruiti artificialmente o con l’imposizione delle armi (vd. Unione Sovietica, Jugoslavia, Cecoslovacchia) si sono dissolti come neve al sole. Ora forse anche il Belgio, chissà. E’ paradossale, però, che la spinta ad una ipotetica spartizione dell’Italia venga dal Nord mentre il Sud continua a subire e a sonnecchiare. Fino a quando? Forse fino a quando i meridionali d’Italia, già duosiciliani, non sapranno recuperare pienamente la loro memoria storica, l’orgoglio dimenticato di avere avuto, solo appena 150 anni fa, un proprio Stato, una propria bandiera, un proprio Re, cioè una piena autonomia, un’indipendenza vera e propria che la cosidetta Padania non può assolutamente rivendicare. E’ inconfutabile che il Regno delle Due Sicilie, se fosse sopravvissuto, oggi assicurerebbe un futuro migliore ai suoi abitanti, sicuramente migliore di quanto ha saputo fare l’Italia unita in questi ultimi 150 anni”.

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NOVITÀ EDITORIALE

Garibaldi
L’avventuriero, il massone, l’opportunista

di Gustavo Rinaldi



Nell’Italia caricaturale che viene fuori dopo il 1860, con il suo familismo amorale e la cialtroneria che contraddistinguono i suoi protagonisti, Giuseppe Garibaldi è quello apparentemente più presentabile.
Ma chi è costui? Gustavo Rinaldi lo spiega già nel titolo: un avventuriero, un massone, un opportunista. Parlano fonti insospettabili o simpatizzanti del processo unitarista (fare più grande il Piemonte e glorificare il Re sabaudo, Vittorio Emanuele II).
I mille? Una banda armata al servizio del piano di conquista e di egemonia dei padroni del mondo di allora: Inghilterra, Francia e Massoneria internazionale. Sarà lo stesso Garibaldi ad ammetterlo, in visita a Londra nel 1864, al governo inglese: “Senza il vostro aiuto non avremmo deposto il Borbone… anzi, io non avrei mai potuto passare lo stretto di Messina”.
Bronte? Un massacro di contadini ordi-nato da Garibaldi, eseguito dai garibaldini agli ordini di Nino Bixio; un crudele eccidio di gente che aveva preso sul serio il programma di distribuzione delle terre.
Una rivoluzione tradita? Si dice sempre così. Continuità, trasformismo e borghesismo nelle rivoluzioni italiane. È un filo rosso che tiene i prenditori di tutti colori. Lo Statuto, la libertà, la legalità? Gli invasori garibaldini e piemontesi si appoggiarono a mafia e camorra: nasce il patto scellerato tra politica e malavita, che ancora dura.


 
 

La controstoria di un'eroe risorgimentale

Domenica 24 Aprile 2011 12:08 | Scritto da Roberto Della Rocca (Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie)
Tanto per mettere immediatamente le cose in chiaro, è opportuno che alla prossima occasione non vi lasciate scappare l’acquisto del libro“Garibaldi. L’avventuriero, il massone, l’opportunista” (Controcorrente, Napoli, 2011) ultimo testo dello storicoGustavo Rinaldi. Non esito a definire il libro un’opera definitiva suGaribaldi, l’eroe risorgimentale per antonomasia, un mito distrutto dalla minuziosa opera di ricerca svolta da Rinaldi. Un lavoro frutto della ricerca bibliografica (basata sui testi autografi di Garibaldi o degli uomini a lui vicino, e su quella degli storici contemporanei al Nizzardo e sugli studi più recenti, come quello valido diPappalardo) e d’archivio. Ogni tesi anti – garibaldina è corredata da uno stuolo di documenti efficaci e di chiara comprensione. Siamo di fronte, a mio modesto avviso, ad un’opera definitiva perché la vita di Garibaldi viene messa nero su bianco e smitizzata per intero, a cominciare dalle poco edificanti esperienze in America Latina, dove si esprime l’animo piratesco del presunto eroe.
Crimini e cattive compagnie ricostruite grazie alla lettura dei giornali dell’epoca che raccontano una verità occultata e poco conosciuta. Ad esempio“La Gaceta Mercantil, quotidiano argentino, così pubblicava il 3 ottobre 1842: Il pirata Garibaldi mandato nelle acque del Paranà dal selvaggio mulatto Rivera teneva prigionieri a bordo della corvetta Constitucion dieci uomini, che anelavano a fuggire dalle mani di quell’uomo maledetto. Queste infelici creature e tutti gli uomini feriti sul brigantino Pereyra, vennero lasciati a bordo quando le due navi furono incendiate dal nemico. In quel momento le urla di disperazione si poterono udire chiaramente e si videro quegli sventurati feriti cercare d’arrampicarsi sulla murata. Ma il loro martirio non durò a lungo; l’atrocità del pirata si compì […] le navi saltarono in aria e il Paranà offerse uno spettacolo raccapricciante”.ancora, tanto per elogiare il Nizzardo:“Il 6 dicembre il Correo de Lima pubblicò un articolo intitolato Garibaldi l’assassino nel quale si dichiarava che, sebbene al suo arrivo il giornale l’avesse acclamato come un eroe, si rendeva ora conto che sarebbe stato più esatto chiamarlo assassino”.

Così come pure fa piacere riscoprire un vecchio articolo diNazione Napoletana del 1999 che racconta del Garibaldi negriero. Troppe volte si parla del nizzardo come schiavista e professionista della tratta dei cinesi durante la sua esperienza marinara dal Perù alla Cina ma pochi hanno riportato una minuziosa descrizione del viaggio, le testimonianze e le circostanze che ci fanno dire che Garibaldi ha esercitato il mestiere del contrabbando degli uomini, in anni in cui la cosiddetta “tratta” era stata messa fuori legge da un trattato internazionale che ebbe tra i primi sottoscrittori, nientemeno che Ferdinando II di Borbone! Tesi, questa, che si basa su dati di fatto e testimonianze. Garibaldi era solito registrare sempre il carico che egli trasportava e difatti l’autore dell’articolo di Nazione Napoletana è in grado di ricostruire il viaggio del Nizzardo con le merci trasportate in ogni tratto di mare. Tutto il viaggio tranne il tratto da Canton a Lima dove i cinesi venivano sbarcati per andare a lavorare nelle miniere di guano, il cui proprietario don Pedro de Negri era anche l’armatore della nave di Garibaldi, la Carmen! Dopopassò a New York e dalla città americana acquistò un possedimento nel suo regno di provenienza (quello di Sardegna). Acquistò mezza isola di Caprera. A questo punto si legge nel libro:“Donde gli vennero i soldi per l’acquisto di tale proprietà visto che a New York, a Staten Island, precedentemente al viaggio, per sopravvivere si era messo nella fabbrichetta del Meucci a produrre candele di sego che non rendevano un cent e che il comando di due navi poteva avergli fatto guadagnare al massimo cinquanta dollari, chiaramente insufficienti per l’acquisto del piccolo possesso?”. Già. Chissà! Altrettanto approfondite le frequentazioni massoniche dell’eroe dei Due Mondi e sulle compagnie di scorribande che dai fiumi sudamericani al Volturno lo hanno affiancato.
Due documenti autografi di Garibaldi che, nel 1843, riferito ai suoi amici sudamericani li apostrofò:“Quasi tutti disertori da bastimenti da guerra. E questi devo confessarlo erano i meno discoli.agli americani, tutti quanti, quasi, erano stati cacciati dall’esercito di terra per misfatti e massime per omicidio”. dissimile l’opinione del generale sui suoi Mille:“Tutti generalmente di origine pessima e per di più ladra. E, tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. E’ vero che la guerra si fa con gli uomini che si hanno a disposizione ma è anche vero che una brava persona non si circonda di criminali e assassini a meno che non è accumulabile,categoria.
Omettendo la parte più nota della vita di Garibaldi, quella relativa alla occupazione delle Due Sicilie (dove Rinaldi fa emergere chiaramente la realtà dei fatti aggiungendo ai già noti fatti di Bronte tutta una serie di testimonianze e di espisodi che dimostrano la natura predatoria e aggressiva, nonché criminale dell’impresa garibaldina in Sicilia), mi preme sottolineare che il tentativo dell’autore non è quello di distruggere la figura di Garibaldi perché “odiato” ma semplicemente è quello di raccontare la verità. Non a caso, Gustavo Rinaldi si definisce un amico della verità storica (questa sì un’amica da frequentare, non come i succitati amici di Garibaldi).questo motivo è opportuno riportare, a conclusione di questo breve resoconto, le parole dell’autore:“Garibaldi e la sua impresa vengono contestati un po’ ovunque: al Sud come al Nord.’ tutto il Risorgimento che viene messo in discussione. Perché non fu una unificazione, né una libera unione ma si trattò di invasione e conquista del Sud. Non fu nemmeno una rivoluzione popolare perché le condizioni sociali peggiorarono immediatamente a favore dei rapaci possidenti (tutti galantuomini e liberali) e poi perché le rivoluzioni, la libertà, la democrazia, la giustizia sociale non si esportano ma nascono in seno al popolo. Celebrare ancora oggi, a distanza di 150 anni, la maggiore impresa di Garibaldi, quella dei mille, da lui stesso rinnegata, non può fare onore né a lui né al popolo italiano, né all’Italia quale Nazione e Stato. Che si abbia il coraggio, la volontà, la determinazione di ricercare altrove il collante che ha portato all’unità degli antichi Stati d’Italia se tale collante c’è mai stato, ma, quantomeno, che il personaggio Garibaldi non venga ancora definito eroe, eroe dei due mondi (quali due mondi?), certamente non quello duo siciliano”.


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